Nostra signora del Nilo

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Nostra Signora del Nilo — Scholastique Mukasonga

66thand2nd; traduzione di Stefania Ricciardi.

L’anno scorso si chiudeva il secondo decennio del XXI secolo e, com’è naturale, mi è capitato di riflettere sui miei libri preferiti. Tra il 2010 e il 2019, il mio terzo decennio, si è costruito il mio gusto personale: ho superato l’impronta scolastica, mentre allo stesso tempo cercavo di recuperare le tracce che più mi avevano affascinato (il De rerum natura di Lucrezio, su tutti); ho incontrato le varie correnti del femminismo; ho conosciuto persone molto diverse da me che hanno ampliato lo spettro delle mie predilezioni; ho smesso del tutto di leggere in traduzione dall’inglese, ma, per pigrizia, continuo a servirmi di traduzioni dal francese, a meno che non si tratti di libri di particolare interesse per i quali non posso aspettare.

Tra questi ultimi, Nostra Signora del Nilo: il romanzo di Scholastique Mukasonga è stato pubblicato nel 2012 da Gallimard, vincendo nello stesso anno il prestigioso premio Renaudot; in Italia è uscito nel 2014 per 66thand2nd, casa editrice dal catalogo multiforme e attenta alle voci francofone di ascendenza africana.

Nostra signora del Nilo

Su un altopiano del Ruanda, vicino alla sorgente del Nilo, c’è un liceo cattolico per ragazze: è qui che viene formata, secondo le parole della madre superiora Lydwine, l’élite femminile del paese. Il corpo insegnante è composto da suore e frati, più qualche giovane laico: eccetto qualche eccezione come suor Kizito o padre Herménégilde, tutti sono bianchi provenienti dal Belgio o dalla Francia. E le studentesse?

Le convittrici del liceo sono figlie di ministri, di militari d’alto rango, di uomini d’affari, di ricchi commercianti. Il matrimonio delle loro figlie è un fatto politico. Le ragazze ne vanno fiere, sanno perfettamente quanto valgono. Sono lontani i tempi in cui contava solo la bellezza. In dote, le famiglie non avranno solo mucche o boccali di birra tradizionali, ma anche valigie traboccanti di banconote, un cospicuo conto in banca alla Belgolaise di Nairobi o di Bruxelles. Grazie a loro, la famiglia si arricchirà, il clan consoliderà la sua potenza, la dinastia espanderà il suo dominio. Sanno perfettamente quanto valgono, le ragazze del liceo Nostra Signora del Nilo.

Mancano solo le coordinate temporali del cronotopo: siamo all’inizio degli anni ’70, molto prima del genocidio che dal 1994 segna ogni associazione mentale con il Ruanda e nel quale ha perso la vita gran parte della famiglia dell’autrice.

Il liceo è un universo chiuso nel quale Mukasonga dispone i pezzi della sua partita a scacchi. Una ventina di ragazze iniziano il loro corso di studi: appartenenti alle migliori famiglie ruandesi, non si sottraggono (né si vogliono sottrarre) alla divisione etnica snaturata dai colonizzatori belgi — come all’autoritaria Gloriosa piace ricordare, ora, dopo il sanguinoso periodo di predominio della minoranza Tutsi, il potere è in mano alla maggioranza, gli Hutu, che rappresenta i quattro quinti della popolazione totale. Del resto, anche in classe le quote sono rispettate: ci sono solo due Tutsi, dai nomi assonanti, Veronica e Virginia.

Tra il liceo e la sorgente del grande fiume, c’è una piccola cappella di lamiera che ospita la statua di una Madonna nera. “Devono averla truccata per farci piacere” dice una delle studentesse a metà del romanzo, e poi aggiunge un particolare: il Bambin Gesù è rimasto bianco.

In una partita a scacchi, i pezzi bianchi giocano contro i pezzi neri, ma nel liceo Nostra Signora del Nilo i pezzi bianchi non sono che una cornice pressoché inerte: gli insegnanti, esponenti della millenaria missione sedicente evangelizzatrice della chiesa cattolica o giovani idealisti che forse credono di andare a fare del bene; il patetico Monsieur de Fontenaille, convinto di aver ritrovato le regine africane che abitano i suoi sogni feticistico-coloniali; perfino Dian Fossey, la primatologa statunitense che studiava i gorilla nelle foreste ruandesi.

L’attenzione del romanzo è concentrata sui pezzi neri della scacchiera, le studentesse: non solo Gloriosa, Veronica e Virginia, ma anche la timida Modesta, che vorrebbe dei figli né Hutu né Tutsi, la ribelle Immaculée, l’unica a presentarsi all’entrata il primo giorno di scuola in sella alla moto del suo fidanzatol’ingenua Godelive…
La quotidianità della scuola procede secondo i ritmi vivaci dell’adolescenza, i suoi equilibri precari si disfanno e si ricreano senza sosta. Il ritratto corale di un gruppo di adolescenti, descritte spesso con un tono leggero non privo di ironia, si coniuga con la tenebra che Mukasonga insinua nella narrazione fin dal primo capitolo: il destino di sangue che attende il liceo Nostra Signora del Nilo si prepara da troppo tempo perché possa essere evitato.

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